02 Dic Il chirurgo
“Ancora pianure d’acciaio bianco, scrostate da un vento teso e nervoso, luci lontane e fioche, di piccole casette spaurite nella tormenta. Ci sono state rapine e ammazzamenti, per chi si è opposto, chi non si è fatto da parte, o solo mi ha negato un piatto caldo, di allungare le mani a una stufa. Ho lasciato quelle case sole e vuote, ho ripreso la marcia, abbandonate a languire le ultime braci, le porte spalancate, i corpi a stecchirsi in pozze carminio.
Poi le foreste, e ancora pianure, militari a frotte dietro e attorno. Notti rintanato. E ancora passi, dietro altri passi, e davanti passi ancora, perché tutto questo passi, certo che niente se ne andrà, dalla mente, dallo stomaco, il sangue irrancidito.
Monti dirupati l’uno nell’altro, gole e passaggi, la fame che smangia la testa. La pistola sempre carica, e gente stesa a terra.
Ho fame.
E sete anche.
Cammina il proiettile infetto in me, lo sento a ogni passo, ogni piegare di gamba, avvoltolarsi tra i visceri, rugghiare sulle cartilagini, premere muscoli e nervi.
Un vecchio medico mi offre da bere. Ride a piene gengive, beviamo ancora, poi ancora. Poi alza una mascherina sul naso, mi stendo su un tavolaccio, i miei vestiti appesi a un angolo, giaccio a occhi socchiusi, temo possano cadermi a terra ossa e carni per la stanchezza. Il dolore è insopportabile, la pancia è gonfia, la pelle scoperta lucida e blu, gialla anche. Il chirugo porta una bacinella fumante, sgocciola una sottile lama e la osserva in controluce. Lo fisso negli occhi, lui sorride, io lo spaurisco e stringo lo sguardo, poi il dolore appanna tutto.
Poi l’odore, come una bolla di gas esploso, le carni che cedono e un plop plop plop di sangue che sgronda dal tavolaccio.
Poi il buio. O luci spente.
Dopo, credo giorni, scollo gli occhi, il chirurgo è lì accanto, la mascherina con gli elastici sozzi sotto la gola, ride sdentato, mi dà un po’ d’acqua.
Nel bagliore freddo di un mattino, steso a letto, sento le cimici correre nelle imbottiture, allungo lo sguardo, ma lontano, così lontano che mi sembra impossibile metterlo a fuoco, un piccolissimo chirurgo siede a un piccolo tavolo, ride, e beve, sollevando il bicchiere e indicandomi.
Poi brucio, e bruciano i monti, bruciano le pianure che ho attraversato, brucia tutto, e io arranco in fiamme, ma non muoio.
E poi il chirurgo mi aiuta a sedermi su una vecchia poltrona. Le cimici scorrazzano a terra, curvano a tutta velocità tra i miei piedi. Mi porta un piatto, brodo caldo. La mascherina sempre sotto la gola, va verso la tenda che nasconde il tavolaccio delle operazioni, e sparisce. Là dietro c’è tutto il mio sangue, e il marcio che ho sputato dal ventre. Non abbastanza. Ce n’è ancora tanto dentro, che mi corrode.
Il chirurgo ride, mi dà da bere, una cosa forte, cambia i bendaggi, la mascherina alzata, schizzata di sangue..
Poi il chirurgo ha qualcosa di luccicante e appuntito in mano, un piccolo cilindro color del rame. Ride il chirurgo, la bocca vuota, le gengive schifose, indica il cilindro tra pollice e indice e ride sguaiato. Il proiettile che mi ha cavato dall’intestino.
Poi il chirurgo ciondola per la stanza e canta a squarciagola, con quella specie di cratere rossastro che ha al posto della bocca. Si avvicina al letto e chiude un occhio per aprire il cassetto del comodino. Mi invita a guardare dentro. C’è la mia pistola. Richiude il cassetto e ride isterico, siede al tavolo e beve e mi parla. Non capisco una parola.
Poi apro gli occhi, il proiettile è in piedi sul ripiano del comodino, come un missile in miniatura. Da dietro la tenda la voce soffocata di un uomo che tenta di gridare.
Scendo dal letto, i vestiti li indosso in silenzio. Il chirurgo dorme con la testa sul tavolo. Bottiglie vuote accanto, alcune ruzzolate sul pavimento, le cimici fanno dentro e fuori dai vetri. Infilo il cappotto, mano in tasca a pistola e proiettile. Sollevo lo straccio sulla faccia, dal letto prendo il cuscino e mi avvicino al chirurgo che russa e sbava. Lo scoppio smorzato, il contraccolpo percuote il braccio e si allunga fino a picchiare sulla cicatrice dell’inguine. Le piume svolazzano attorno, scosto il cuscino esploso e fisso la faccia rinsecchita e grigia, il sangue cola a fiotti da un buco sopra la tempia. Non sento niente.”
(Cani Rabbiosi -Podcast-)